Dalla
fine delle dittature negli anni Novanta i Paesi latinoamericani hanno
elaborato diversi modelli di sviluppo che hanno generato una profonda
disuguaglianza tra gli Stati della regione e anche all’interno di ognuno
di essi. Con Adrian Bonilla, segretario generale di Flacso – organismo
internazionale il cui compito è la ricerca sociale nei Paesi del Sud
America e dei Caraibi – abbiamo analizzato il presente e il futuro di
quest’area.
Qual è il ruolo dell’America Latina nel contesto internazionale attuale?
Ha un ruolo importante ma non è una regione determinante né sul piano
militare, né economico, né strategico-politico. Occorre considerare che
la somma di tutti i PIL dei Paesi latinoamericani risulta inferiore al
10% del PIL mondiale. Inoltre si tratta di una zona lontana da tutti gli
scenari strategici che potrebbero determinare l’assetto dell’ordine
mondiale.
A livello commerciale però ha attirato l’interesse delle grandi potenze mondiali, in particolare della Cina
Negli ultimi vent’anni c’è stato un incremento degli investimenti
cinesi in America Latina. La Cina è il secondo socio commerciale di
quasi tutti i Paesi del mondo e il primo per molti di loro. L’influenza
economica cinese per l’America Latina è importante ed è in grado da sola
di spiegare il benessere latinoamericano dei primi dieci anni del
Duemila. Va considerato però anche il rovescio della medaglia. Il
dinamismo del mercato cinese ha infatti colpito le industrie di molti
Paesi. Senza dimenticare che una grande quantità di minerali, materie
prime e alimenti provenienti dall’America Latina finiscono in Cina. Nel
caso specifico di Paesi come il Brasile, ci sono diversi punti
d’incontro con la Cina, specie nell’ambito dei BRICS, ma non esiste,
almeno a livello formale, un progetto politico comune.
Qual è dunque il peso reale della Cina in America Latina?
La strategia cinese in America Latina si basa sulla non interferenza
dell’influenza politica esercitata dagli Stati Uniti. Pechino si limita
allo scambio commerciale. Ma penso che arriverà il momento in cui la sua
presenza economica finirà per diventare anche presenza politica.
Qual è invece il ruolo del Brasile?
Contrariamente a quello che sembra, il Brasile ha un’influenza
limitata, non solo nella scena internazionale ma anche in quella
latinoamericana. Il Brasile non ha la capacità economica né politica per
generare iniziative da cui possano dipendere le altre nazioni.
Qualsiasi sua iniziativa ha bisogno del consenso unanime degli altri
Paesi nei diversi consigli regionali di cui il Brasile fa parte. Ad
esempio, la Guyana o il Suriname, due economie piccole, possono imporre
il veto a una risoluzione emessa dall’UNASUR (Unione delle Nazioni
Sudamericane) proposta dal Brasile o da qualsiasi altro Stato membro. Il
Brasile non è neanche il socio commerciale più importante dei Paesi
latinoamericani e dunque non ha una posizione egemonica nella regione.
Nessun paese, neanche il Messico, gode di questa posizione.
Che momento sta attraversando Cuba?
Le diverse sanzioni a carico del governo cubano sono state ritirate e
qualora intendesse chiedere di essere riammessa all’Organizzazione
degli Stati Americani potrebbe farlo. Comunque, lo scenario resta
abbastanza complesso poiché l’embargo commerciale, tutt’ora in vigore,
si basa su diverse leggi degli Stati Uniti che per essere modificate
avrebbero bisogno dell’approvazione di entrambe le Camere del Congresso,
e difficilmente questo accadrà nel breve termine. Il governo
statunitense utilizza Cuba per corteggiare i latini conservatori
residenti negli States. Per questo motivo tiene in piedi alcune sanzioni
ridicole che potrebbe togliere senza nemmeno dover ricorrere al parere
del Congresso. Un esempio è l’inserimento di Cuba nella black list dei
Paesi sostenitori del terrorismo.
Che relazioni intrattiene il governo cubano con gli altri Paesi latinoamericani?
Per tutto questo tempo l’America Latina, tranne qualche eccezione, ha
ripudiato l’embargo imposto dagli Stati Uniti a Cuba. Allo stesso
tempo, sulla base di una politica di non intervento e di
autodeterminazione, non c’è stata una politica collettiva che abbia
insistito sul cambiamento del regime cubano. Ai latinoamericani non
importa il tipo di governo che c’è a Cuba, bensì interessa che l’isola
possa godere di un’economia libera dalle restrizioni degli USA.
Le sorti di Cuba e del Venezuela sono legate in qualche modo?
Cuba riceve aiuti dal Venezuela ma il futuro cubano non dipende dal
petrolio venezuelano. Ricordiamo che Cuba è rimasta stabile persino dopo
la scomparsa dell’URSS.
L’America Latina ha registrato negli ultimi anni lo sviluppo di diversi modelli economici, quali sono i principali?
Ce ne sono diversi. Per semplificare possiamo dire che la metà del
PIL si muove in economie aperte, l’altra metà in economie protette.
Quale di questi due modelli ha vinto sinora?
La crescita economica è stata simile. Paesi più “protezionisti” come
Brasile, Argentina, Uruguay, Ecuador e Bolivia hanno avviato politiche
sociali di successo (nella lotta alla povertà, per il miglioramento
della sanità e dell’istruzione) e allo stesso tempo hanno raggiunto una
crescita economica importante, mentre Paesi come Costa Rica e Repubblica
Dominicana, basati su un modello liberale, hanno avuto risultati
simili.
Su quale base poggia allora il nuovo regionalismo latinoamericano?
Il nuovo regionalismo si basa su logiche politiche e non
necessariamente ideologiche. Nella CELAC (Comunità di Stati
Latinoamericani e dei Caraibi) confluiscono Paesi con economie liberali
ed economie protette, governi di centro-destra con governi di
centro-sinistra, e nell’UNASUR accade lo stesso. A causa dei diversi
modelli di sviluppo è però risultato difficile stabilire accordi di
integrazione commerciale, motivo per cui si è puntato su associazioni di
carattere politico e non economico.