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mercoledì 22 ottobre 2014
Il 22 ottobre 1962 il presidente statunitense John Kennedy annunciò con un discorso televisivo che, sorvolando Cuba, un U-2 aveva scoperto un dispiegamento di missili sovietici
Il 22 ottobre 1962 il presidente statunitense John Kennedy annunciò con un discorso televisivo che, sorvolando Cuba, un U-2 aveva scoperto un dispiegamento di missili sovietici
La crisi dei missili di Cuba fu uno dei
momenti più critici della Guerra Fredda. Il nuovo governo comunista
cubano di Fidel Castro che aveva promosso una campagna di
espropriazioni, era stato supportato dai sovietici per contrastare il
tentativo di invasione degli esuli cubani aiutati dalla CIA. Dopo il
fallimento dello sbarco nella Baia dei porci, gli USA avevano piazzato
dei missili Jupiter in Italia e in Turchia. L’URSS reagì con
l’installazione di missili a Cuba, la cui gettata avrebbe permesso di
colpire gli USA. Il 14 ottobre 1962 un U-2 americano sorvolando Cuba,
fotografò i missili, la cui esistenza fu resa nota dal presidente
Kennedy attraverso la televisione il 22 ottobre. Il Presidente annunciò
che il traffico navale per Cuba sarebbe stato bloccato dalla cosiddetta
quarantena, proprio per evitare che vi giungesse ulteriore materiale
bellico. Dopo l’intervento dellONU e di papa Giovanni XXIII, le intense
trattative tra USA e URSS terminarono con un accordo che scongiurò il
pericolo di un’apocalisse nucleare. Chruscev il 28 ottobre acconsentì
alla rimozione dei missili da Cuba e gli USA, entro sei mesi, avrebbero
rimosso le testate missilistiche in Italia e in Turchia.
martedì 21 ottobre 2014
lunedì 20 ottobre 2014
Summit anti-Ebola a Cuba, Raul Castro: "Siamo tutti minacciati" Presenti 12 Paesi dell'America latina e dei Caraibi
L'Avana, 20 ott. (TMNews) - L'epidemia di Ebola "ci minaccia tutti": lo ha detto il presidente cubano Raul Castro inaugurando all'Avana un "summit straordinario" di 12 Paesi dell'America latina e dei Caraibi incentrato sull'epidemia che per il momento sta risparmiando il continente. "Una terribile epidemia si propaga oggi fra i popoli fratelli dell'Africa e ci minaccia tutti", ha dichiarato Castro. "Se questa minaccia non sarà arginata in Africa occidentale potrebbe diventare una delle pandemie più gravi della storia dell'umanità", ha avvertito il presidente cubano davanti a 11 suoi pari del continente riuniti nella capitale cubana.
Cuba, Paese maggiormente presente sul campo con quasi più di 450 fra medici e infermieri dispiegati in Africa occidentale, ospita questo summit il cui obiettivo è quello di "armonizzare i protocolli per proteggere la popolazione e prevenire la diffusione della malattia nei Paesi della regione", secondo una nota del ministero degli Esteri cubano. Al vertice sono presenti i nove capi di Stato dell'Alternativa bolivariana per le Americhe (Alba), blocco creato nel 2005 da dei Paesi governati dalla sinistra. Oltre a Cuba, comprende Venezuela, Ecuador, Bolivia, Nicaragua e diversi piccoli Stati caraibici. Anche Haiti, Grenada e Saint-Kitts e Nevis sono stati invitati.
domenica 19 ottobre 2014
Ebola, all’ombra di una pandemia?
E’ di dominio pubblico in tutto il mondo la disseminazione dell’Ebola dai paesi africani, quelli che si affacciano sul golfo di Guinea, ai paesi degli altri quattro continenti.
Cercando di andare oltre le notizie sensazionalistiche dei media, che
presentano, come spesso succede, solo un aspetto degli eventi, cerchiamo
di capire cosa sia l’Ebola e quali siano le cause principali che ne
determinano una trasmissione cosi rapida e apparentemente inarrestabile.
L’Ebola è una malattia, causata da un virus EBV (Ebola Virus Disease), che si manifesta come una febbre emorragicamolto
grave e letale. Vi sono altre malattie virali che si presentano con
sintomatologia simile, di una febbre emorragica, come la Dengue e il
Marburg, altrettanto pericolose e letali. Ricordiamo l’epidemia di Marburg
nella Repubblica del Congo Democratico, che incontrollata invase paesi
confinanti tra cui l’Angola, dove una medica pediatra del CUAMM, Maria Bonino, morì nel 2005, prestando il proprio aiuto nel tentativo di bloccare la disseminazione della malattia; o l’epidemia di Dengue a Cuba che causò nel 2006 migliaia di morti.
Il virus dell’Ebola è trasmesso dagli animali
(primati, chirotteri, roditori) all’uomo, per poi essere trasmesso da
uomo a uomo, attraverso i fluidi corporei; per proteggersi dal contagio
con i pazienti è assolutamente necessario vestirsi con l’Equipaggiamento
di Protezione Personale (EPP), seguendo protocolli di sicurezza molto
complessi e sempre supervisionati da qualcuno che segua tutte le tappe
durante la vestizione; la malattia presenta un tasso di mortalità del
50%, e già in passato sono state registrate altre epidemie con tassi di
mortalità fra il 25% e il 90 %. Si può già percepire quale sia la sua
pericolosità e l’attenzione che meriti in termini sanitari.
Ma che cosa è cambiato fra questa epidemia e le precedenti? Perché
nelle precedenti epidemie non si sono mai registrati casi al di fuori
dell’Africa? Perché, soprattutto, ad oggi, questo virus ha raggiunto gli
USA, l’Europa e l’Australia? E’ forse diventato più aggressivo?
La prima epidemia di Ebola è stata registrata nella Repubblica Democratica del Congo nel 1976, con 318 casi e 280 morti (Tasso di mortalità 88%),
in un’area remota e lontana da centri densamente abitati,
caratteristica comuni a tutti i successivi episodi epidemici che si sono
registrati da allora, ben 24 epidemie.
E’ proprio questo che è cambiato. La presente epidemiaha invaso non solo le aree rurali ma anche le capitali africane di Guinea e Liberia, per poi disseminarsi in Sierra Leone e Nigeria.
Ed è proprio questo il punto chiave di lettura per capire come sia
potuto avvenire un cosi rapido contagio e disseminazione della malattia.
Infatti, l’Ebola, pur essendo una malattia letale, è relativamente
semplice da contenere e controllare, come ha dichiarato anche il Governo
Americano, in risposta alla comune e crescente preoccupazione presente
nel paese.
Solamente grazie alla più attenta osservazione di protocolli di sicurezza e di
pratiche mediche controllate, come trattamento repentino dei casi,
sorveglianza, servizi diagnostici di laboratorio capaci ed organizzati,
trattamento idoneo dei decessi, mobilitazione comunitaria,
si può evitare infatti la disseminazione del virus tra esseri umani.
Tuttavia una tale organizzazione capillare non è spesso quella che si
incontra nei paesi africani, dove al di là di limiti strutturali degli
ospedali e dei servizi sanitari in genere, esistono anche barriere culturali, spesso forti, quando si tratta di dover seppellire i propri cari.
Da qui la rapida ed incontrollata, a tuttora, disseminazione del virus
in questi paesi, dove l’improvviso ingresso del virus in centri cosi
altamente e densamente popolati e impreparati dal punto di vista
sanitario, ha causato una trasmissione rapida con un cosi alto numero di
casi, che infelicemente è destinato a crescere.
Un altro importante fattore di questa equazione è stata la tardiva
risposta da parte della comunità internazionale, che ha impiegato troppo
tempo nel riconoscere le vere dimensione di una tale minaccia. Al
momento le uniche nazioni impegnate attivamente in Africa sono gli Stati Uniti d’America e il Regno Unito,
che attraverso l’invio di truppe e personale medico e paramedico, sta
organizzando un sistema di contenimento. Tuttavia l’Unione Europea al
momento non si è ancora unita a tale azione di supporto internazionale.
Ora la domanda cui tutti vorrebbero avere una risposta è il reale
rischio per noi di contrarre la malattia. Tutti i casi registrati sinora
in Europa ed negli Stati Uniti sono stati di persone che per motivi di
lavoro o volontariato internazionale provenivano da quei paesi o già con
una diagnosi di Ebola confermata o con la malattia in fase di incubazione.
In alcuni casi inoltre non sono state osservate le dovute misure di sicurezza negli aeroporti, permettendo l’ingresso del virus.
La successiva catena di contagi è avvenuta per la diagnosi tardiva o
per mancato rispetto dei protocolli di sicurezza. La reale possibilità
di un contagio così disseminato, da interessarci personalmente è al
momento molto remota.
L’Ebola, infatti, è una minaccia globale nella misura in cui si
permette che lo sia. Le parole chiave per porre un arresto alla
trasmissione del virus sono infatti il coinvolgimento delle
Organizzazione Internazionali, per aiutare i paesi africani a
diagnosticare rapidamente i casi, diminuendo il tempo fra infezione e
trasmissione; a organizzare e cambiare rapidamente le comuni pratiche
ospedaliere; a supportare e aumentare il potere diagnostico dei
laboratori; a cambiare usi e costumi nelle popolazioni attraverso la
sensibilizzazione comunitaria.
Tali interventi preventivi possono porre fine alla catena di trasmissione in Africa.
Medici senza Frontiere aveva segnalato a marzo di
quest’anno il pericolo della presente epidemia, ma purtroppo nessuno ha
prestato ascolto; si pensi solo che l’OMS,
Organizzazione Mondiale della Sanità, solo l’8 Agosto 2014 ha dichiarato
la presenta epidemia un’Emergenza Sanitaria Pubblica di importanza
globale.
Il contagio avviene molto rapidamente, tanto che i tassi di contagio aumentano ciclicamente in modo esponenziale, a tal punto che il CDC,
Center for Disease Control, di Atlanta ha fatto una previsione di 1,2
milioni di casi per gennaio 2015. Per vincere l’Ebola è assolutamente necessaria la cooperazione nell’aiutare i paesi africani a fare fronte a questa malattia che in quei luoghi può veramente causare un enorme numero di morti.
Ivan Alejandro Pulido Tarquino - Specialista in Malattie Tropicali
sabato 18 ottobre 2014
Ebola avvicina nemici, Castro loda collaborazione medici Cuba-Usa
(AGI) - L'Avana, 18 ott. - La battaglia all'ebola ha almeno un merito, aver avvicinato gli arcinemici governi di Cuba e Usa.
L'ex presidente cubano Fidel Castro, che ha elogiato "l'esempio di solidarieta'" dei medici dell'isola inviati in Africa per combattere l'epidemia, ha anche lodato la collaborazione con gli Usa: "Con piacere cooperiamo con il personale statunitense in questo obiettivo", ha scritto il 'lider maximo' in un articolo intitolato "L'ora del dovere". A conferma che l'epidemia di ebola sta provocando effetti imprevisti in politica estera, venerdi' anche il segretario di Stato usa, John Kerry aveva elogiato il personale sanitario cubano inviato a combattere il virus. Ai primi di ottobre, Cuba ha inviato un gruppo di 165 operatori sanitari in Sierra Leone per contribuire alla lotta e ne inviera' prossimamente altri 296 negli altri due Paesi africani contagiati, la Liberia e la Guinea Conakry.
Fidel Castro, che ha 88 anni e si e' ritirato dal potere nel 2006, ha sottolineato la "rapida" risposta di Cuba alla richiesta delle Nazioni Unite di "lottare contro la brutale epidemia scoppia in Africa occidentale". "Il personale medico che va in qualunque luogo pur di salvare vite, anche a rischio di perdere la propria, e' il miglior esempio di solidarieta' che puo' offrire l'essere umano, soprattutto quando tutto questo non e' mosso da interesse materiale alcuno" (AGI
sabato 11 ottobre 2014
Sempre più migranti illegali da Cuba verso Usa: nuovo esodo? In 12 mesi il numero di ingressi, con e senza visto, è stato più alto che nella crisi del 1994. Mentre anche numero di imbarcazioni improvvisate è da record
Venticinquemila cubani sono entrati illegalmente negli Stati Uniti,
via terra e via mare, negli scorsi 12 mesi. Il numero è raddoppiato
negli ultimi due anni, mentre il totale di migranti legali e illegali da
Cuba non era così alto dall'esodo di massa su pericolose imbarcazioni
improvvisate del 1994, riferisce il New York Times.
"L'aumento sottolinea le conseguenze delle politiche sull'immigrazione degli Usa, che danno trattamento preferenziale ai cubani, e le recenti riforme che sull'isola hanno allentato le restrizioni sui viaggi e messo in risalto la frustrazione crescente post-Fidel" Castro, scrive il quotidiano.
Durante i 12 mesi passati, i migranti illegali sono stati più che nel 2008, quando Raul Castro salì alla presidenza. Esperti affermano che il numero attuale "potrebbe essere avvisaglia di un esodo di massa, mentre mettono in guardia sul fatto che le imbarcazioni improvvisate abbia già lasciato una scia di morti".
Allarmante infatti il dato sui mezzi usati per il viaggio in mare: se il 20% era improvvisato nel 2008, l'anno scorso lo era l'87%, secondo i dati della Guardia costiera che intercetta i migranti diretti sulle coste della Florida.
"Credo sia in corso un silenzioso esodo di massa. Siamo tornati ai tempi, come nel 1994, quando le persone costruivano piccole strutture galleggianti e partivano nell'oceano, con o senza familiari", dice Ramón Saúl Sánchez, leader cubano in esilio a Miami impegnato nell'aiuto alle famiglie dei morti nel viaggio.
"L'aumento sottolinea le conseguenze delle politiche sull'immigrazione degli Usa, che danno trattamento preferenziale ai cubani, e le recenti riforme che sull'isola hanno allentato le restrizioni sui viaggi e messo in risalto la frustrazione crescente post-Fidel" Castro, scrive il quotidiano.
Durante i 12 mesi passati, i migranti illegali sono stati più che nel 2008, quando Raul Castro salì alla presidenza. Esperti affermano che il numero attuale "potrebbe essere avvisaglia di un esodo di massa, mentre mettono in guardia sul fatto che le imbarcazioni improvvisate abbia già lasciato una scia di morti".
Allarmante infatti il dato sui mezzi usati per il viaggio in mare: se il 20% era improvvisato nel 2008, l'anno scorso lo era l'87%, secondo i dati della Guardia costiera che intercetta i migranti diretti sulle coste della Florida.
"Credo sia in corso un silenzioso esodo di massa. Siamo tornati ai tempi, come nel 1994, quando le persone costruivano piccole strutture galleggianti e partivano nell'oceano, con o senza familiari", dice Ramón Saúl Sánchez, leader cubano in esilio a Miami impegnato nell'aiuto alle famiglie dei morti nel viaggio.
giovedì 9 ottobre 2014
Enrique Iglesias e la sua Bailando in nomination per i Latin Grammy Awards
Il successo di Enrique Iglesias è ormai inarrestabile, la sua "Bailando"
è ormai saldamente in classifica da settimane, confermandosi uno dei
singoli più venduti, tanto da ottenere il secondo disco di Platino.
Ritmo latino, sensualità, sonorità, melodia che ti entra dentro e che ti
costringe a muovere il bacino a ritmo caliente, questa è Bailando,
questo è ciò che Enrique Iglesias è riuscito a creare.
Le radio italiane da settimane programmano il brano che è tra i cinque
singoli in assoluto più richiesti. Scritta a sei mani, Enrique Iglesias
ha composto Bailando insieme a Randy Malcom Martinez, Descemer Bueno e
Alexander Delgado. Nessuno si sarebbe mai aspettato un successo
planetario, nomination agli oscar della musica, tradotta in inglese e
milioni di dischi venduti, ballata in spiaggia e nelle discoteche, è
diventata la colonna sonora della passata estate e il successo non tende
ad arrestarsi.
I numeri parlano chiaro, il contatore su Vevo Italia segna 430.403.470 visualizzazioni, numeri da capogiro, numeri che hanno portato Enrique Iglesias a battere un record e togliere il podio ai Los del Rio che con la loro Macarena facevano parte del girone della Top 10 dei brani spagnoli più programmati dalle radio americane.
I numeri parlano chiaro, il contatore su Vevo Italia segna 430.403.470 visualizzazioni, numeri da capogiro, numeri che hanno portato Enrique Iglesias a battere un record e togliere il podio ai Los del Rio che con la loro Macarena facevano parte del girone della Top 10 dei brani spagnoli più programmati dalle radio americane.
Bailando ai Latin Grammy Awards
L'oscar della musica a livello internazionale è senza dubbio l'evento dei Latin Grammy Awards e Bailando è in lista per più premi nelle diverse categorie: Record of the Year, Song of the Year, Best Urban Performance e Best Urban Song. I riconoscimenti, come si può vedere, premiano la canzone nella sua interezza, sottolineano la canzone dell'anno e la migliore performance.Sex and Love
Sex and Love è l'album che contiene il successo del momento Bailando. Il disco contiene undici tracce e ha già superato un milione di copie vendute. Ritmo latino e sound travolgente, la caratteristica degli altri brani è quella di Enrique Iglesias che con la sua musica si è confermato tra gli artisti latini che ha ottenuto maggiore successo.mercoledì 8 ottobre 2014
lunedì 6 ottobre 2014
Cuba: profumi “Ernesto” e “Hugo”, Castro non gradisce
di Luca Pistone. Scritto il 30 settembre 2014 alle 6:00.Il governo di Raúl Castro ha condannato l’atteggiamento “irresponsabile” di un’impresa statale che ha presentato due profumi con i marchi “Ernesto” e “Hugo”, con la pretesa di rendere omaggio al leggendario guerrigliero Ernesto Guevara e all’ex presidente venezuelano Hugo Chávez, e ha promesso di punire i responsabili.
“Per questo grave errore saranno prese le opportune misure disciplinari (…) Iniziative di questa natura non saranno mai accettate dal nostro popolo e dal governo rivoluzionario”, ha fatto sapere il Consiglio dei Ministri attraverso un comunicato pubblicato dal quotidiano Granma.
Nel testo si legge che “i dettagli di questa azione irresponsabile sono stati analizzati a fondo con il gruppo imprenditoriale Labiofam e i funzionari che hanno presentato il prodotto, ancora in fase di sviluppo”.
Inoltre, non è ancora stato chiarito se i familiari del “Che” e di Chávez fossero d’accordo su un tale uso del loro nome, continua Granma.
In conferenza stampa i rappresentanti di Labiofam hanno detto che l’iniziativa mirava a “onorare” la memoria di Ernesto Guevara (1928-1967) e Chávez (1954-2013), ma nel comunicato il Consiglio dei Ministri afferma che “ieri, oggi e sempre i simboli sono sacri”.
Labiofam è il più grande laboratorio di Cuba, responsabile per la ricerca e la produzione di prodotti veterinari, biopesticidi, integratori alimentari, alimenti probiotici e medicine omeopatiche. Alcuni di questi prodotti vengono esportati all’estero.
Documenti rivelano: “Kissinger voleva distruggere Cuba”
Chi
conosce la storia della pluridecennale aggressione statunitense contro
Cuba socialista probabilmente non si stupirà più di tanto, ma i
documenti emersi recentemente sui piani dell’amministrazione di
Washington per ‘distruggere Cuba’ negli anni ’70 chiariscono ancor
meglio la tracotanza della Casa Bianca contro la piccola ‘isla rebelde’ a
poche decine di miglia dai propri confini.
Henry Kissinger, all’epoca Segretario di Stato, nel 1976 ordinò l’elaborazione di un piano urgente per sferrare bombardamenti aerei contro l’Avana in segno di rappresaglia per l’intervento delle forze armate cubane a fianco dei patrioti angolani dell’Mpla che cercavano di difendere la appena conquistata indipendenza dal Portogallo contro gli assalti di due movimenti reazionari – l’Unita e l’Flna – attivamente sostenuti proprio dagli Stati Uniti e dal regime segregazionista sudafricano.
I piani di Kissinger sono stati resi noti al grande pubblico dal ‘New York Times’ che ha avuto accesso ad alcuni documenti governativi custoditi finora nella Biblioteca Presidenziale di Gerald Ford e pubblicati su richiesta del gruppo di ricerca National Security Archive. Spiega il quotidiano che i documenti in questione sono stati pubblicati e raccolti in un libro intitolato 'Black channel to Cuba' curato dagli esperti William M. LeoGrande, docente all’Università Americana, e Peter Kornbluh, direttore dell’archivio del Progetto di Documentazione su Cuba.
Le carte rivelano che Kissinger era letteralmente imbestialito per la decisione di Fidel Castro di sostenere gli indipendentisti angolani mettendosi di traverso rispetto alla strategia di Washington nell’Africa Australe, al punto da predisporre piani per bombardare e invadere l’isola. Il progetto approntato da alcuni generali prevedeva un bombardamento a tappeto dei porti, degli aeroporti e delle installazioni militari cubane, e poi l’invio di alcuni battaglioni di marines tramite la base Usa di Guantanamo allo scopo di ‘distruggere’ Cuba. “Prima o poi dovremo colpire i cubani” avrebbe detto Kissinger al presidente Gerald Ford nel corso di una riunione nella Sala Ovale della Casa Bianca nel febbraio del 1976, almeno stando alle trascrizioni di quanto i due si dissero allora. "Se decidiamo di usare la nostra potenza militare dobbiamo avere successo” disse Kissinger, aggiungendo: "Non ci devono essere mezze misure: non otterremo nessun risultato se usiamo la nostra forza militare con moderazione. Se decidiamo per il blocco militare questo deve essere spietato, rapido ed efficiente” spiegò al Presidente che manifestò il suo consenso, e ai massimi responsabili del Pentagono e della Cia. Tra i quali, secondo il 'New York Times', c’era anche Donald Rumsfeld.
Nel periodo precedente Henry Kissinger, che fu Ministro degli Esteri dal 1973 al 1977, cercò di portare avanti trattative riservate con l’Avana per migliorare, almeno apparentemente, le relazioni tra Stati Uniti e Cuba, e secondo quanto affermano i due estensori del libro che raccoglie i documenti finora riservati l’intervento militare cubano in Angola intralciò i piani della Casa Bianca e del Pentagono a tal punto da convincere il Segretario di Stato della necessità di imporre al presidente Ford una ‘soluzione drastica’ nei confronti di Castro e della Rivoluzione Socialista.
“Kissinger, il giocatore globale di scacchi, si sentì insultato perché un piccolo paese stava rovinando i piani (di Washington, ndr) in Africa ed era quindi disposto a scatenare la forza imperiale degli Stati Uniti contro Fidel Castro” scrive Kornbluh.
Alla fine però i piani di Kissinger contro Cuba vennero accantonati dopo che le elezioni presidenziali del 1976 le vinse Jimmy Carter. Che non era certo un pacifista, ma aveva semplicemente altri piani in altre zone del pianeta. Anche perché lo stesso Kissinger aveva avvertito che i suoi progetti – bombardamenti a tappeto e blocco militare dell’isola – avrebbero potuto scatenare una forte reazione dell’Unione Sovietica e condurre addirittura ad un conflitto diretto con Mosca.
Contattato dal New York Times, Kissinger, che ha 91 anni, ha preferito non commentare, così come Donald Rumsfeld.
Henry Kissinger, all’epoca Segretario di Stato, nel 1976 ordinò l’elaborazione di un piano urgente per sferrare bombardamenti aerei contro l’Avana in segno di rappresaglia per l’intervento delle forze armate cubane a fianco dei patrioti angolani dell’Mpla che cercavano di difendere la appena conquistata indipendenza dal Portogallo contro gli assalti di due movimenti reazionari – l’Unita e l’Flna – attivamente sostenuti proprio dagli Stati Uniti e dal regime segregazionista sudafricano.
I piani di Kissinger sono stati resi noti al grande pubblico dal ‘New York Times’ che ha avuto accesso ad alcuni documenti governativi custoditi finora nella Biblioteca Presidenziale di Gerald Ford e pubblicati su richiesta del gruppo di ricerca National Security Archive. Spiega il quotidiano che i documenti in questione sono stati pubblicati e raccolti in un libro intitolato 'Black channel to Cuba' curato dagli esperti William M. LeoGrande, docente all’Università Americana, e Peter Kornbluh, direttore dell’archivio del Progetto di Documentazione su Cuba.
Le carte rivelano che Kissinger era letteralmente imbestialito per la decisione di Fidel Castro di sostenere gli indipendentisti angolani mettendosi di traverso rispetto alla strategia di Washington nell’Africa Australe, al punto da predisporre piani per bombardare e invadere l’isola. Il progetto approntato da alcuni generali prevedeva un bombardamento a tappeto dei porti, degli aeroporti e delle installazioni militari cubane, e poi l’invio di alcuni battaglioni di marines tramite la base Usa di Guantanamo allo scopo di ‘distruggere’ Cuba. “Prima o poi dovremo colpire i cubani” avrebbe detto Kissinger al presidente Gerald Ford nel corso di una riunione nella Sala Ovale della Casa Bianca nel febbraio del 1976, almeno stando alle trascrizioni di quanto i due si dissero allora. "Se decidiamo di usare la nostra potenza militare dobbiamo avere successo” disse Kissinger, aggiungendo: "Non ci devono essere mezze misure: non otterremo nessun risultato se usiamo la nostra forza militare con moderazione. Se decidiamo per il blocco militare questo deve essere spietato, rapido ed efficiente” spiegò al Presidente che manifestò il suo consenso, e ai massimi responsabili del Pentagono e della Cia. Tra i quali, secondo il 'New York Times', c’era anche Donald Rumsfeld.
Nel periodo precedente Henry Kissinger, che fu Ministro degli Esteri dal 1973 al 1977, cercò di portare avanti trattative riservate con l’Avana per migliorare, almeno apparentemente, le relazioni tra Stati Uniti e Cuba, e secondo quanto affermano i due estensori del libro che raccoglie i documenti finora riservati l’intervento militare cubano in Angola intralciò i piani della Casa Bianca e del Pentagono a tal punto da convincere il Segretario di Stato della necessità di imporre al presidente Ford una ‘soluzione drastica’ nei confronti di Castro e della Rivoluzione Socialista.
“Kissinger, il giocatore globale di scacchi, si sentì insultato perché un piccolo paese stava rovinando i piani (di Washington, ndr) in Africa ed era quindi disposto a scatenare la forza imperiale degli Stati Uniti contro Fidel Castro” scrive Kornbluh.
Alla fine però i piani di Kissinger contro Cuba vennero accantonati dopo che le elezioni presidenziali del 1976 le vinse Jimmy Carter. Che non era certo un pacifista, ma aveva semplicemente altri piani in altre zone del pianeta. Anche perché lo stesso Kissinger aveva avvertito che i suoi progetti – bombardamenti a tappeto e blocco militare dell’isola – avrebbero potuto scatenare una forte reazione dell’Unione Sovietica e condurre addirittura ad un conflitto diretto con Mosca.
Contattato dal New York Times, Kissinger, che ha 91 anni, ha preferito non commentare, così come Donald Rumsfeld.
Cuba: Vivere con 15 euro al mese arrangiandosi
A Cuba il salario medio è di 471 pesos al mese (20 dollari, 14,7 euro). Ben sotto la soglia di povertà che è fissata ad un dollaro al giorno per i paesi dell’area. I medici, la principale fonte di reddito del Paese in valuta estera, possono guadagnare 30-40 euro, ma molte persone vivono con soli 10 euro al mese. Tutto questo succede nonostante la parziale apertura all’economia di mercato voluta tempo fa dal presidente Raul Castro. La maggior parte dei lavoratori è costretta a ingegnarsi per integrare le proprie entrate e sbarcare il lunario. Ma intanto le disuguaglianze stanno crescendo.
Tutti gli abitanti dell’isola hanno diritto alla libreta, un carnet di prodotti alimentari sovvenzionati, in vendita a prezzi calmierati, che però non permettono di sfamarsi per più di dodici giorni. Le merci sono distribuite da un certo numero di aziende del quartiere (uno per il latte e le uova, un altro per le carne, un altro per il pane, uno più grande per il cibo secco e tutto il resto, dal caffè al petrolio o sigarette). Ogni negozio ha un dipendente che scrive il valore dato alla famiglia.
La libreta prevede una distribuzione mensile strettamente razionata dei componenti essenziali dell’alimentazione e della vita quotidiana: riso, pasta, fagioli, olio, zucchero, sale, un po’ di caffè e di dentifricio, sporadicamente altri prodotti come la polpa di pomodoro e il pollo. La razione di “proteine” consiste in un miscuglio di carne macinata e farina di soia, sufficiente per quattro hamburger al mese. L’unica salvezza e fonte affidabile di proteine sono le dieci uova fornite.
Per cercare di sopravvivere non resta che l’arte di arrangiarsi. C’è chi si dedica al furto e chi acquista al mercato nero ciò di cui ha bisogno. Così, appena possibile, si cerca di accaparrarsi un pesce, rubato o pescato clandestinamente, una maglietta o un pacchetto di detersivo. C’è chi si porta sempre appresso un sacco di plastica per cogliere al volo eventuali opportunità che si presentassero. È possibile perfino che ci si veda proporre delle mele che, per misteriosi motivi legati all’agricoltura pianificata, sono assenti dall’Avana da mesi.
Il mercato nero è alimentato anche dal via libera, dato ai cubani l’anno scorso, di uscire e rientrare liberamente sul suolo nazionale. I vestiti indossati dai cubani vengono spesso dagli Stati Uniti. Chi per esempio vola a Miami, può tornare con un bagaglio di 30 chili. La mercanzia è venduta porta a porta e anche sul posto di lavoro.
Il governo cubano riconosce che i salari bassi sono un problema “generale” sull’isola, ma ha sottolineato che i cubani non pagano i servizi di base come la sanità e l’istruzione. Il presidente cubano Raul Castro continua a ripetere che “i problemi relativi ai salari sono il principale ostacolo per l’aumento della produttività e dell’efficienza in molto campi, causando demotivazione, apatia e disinteresse per il lavoro, con conseguenti effetti nella disciplina del lavoro e nell’esodo dei lavoratori qualificati verso attività più remunerative, ma meno esigenti dal punto di vista professionale, producendo senza dubbio un processo di sottocapitalizzazione della forza del lavoro, cosa che ha colpito i rami industriali basilari, il Ministero della Costruzione e altri, come anche le sempre più negate promozioni verso posizioni direzionali”.
Non potendo ottenere investimenti stranieri significativi, come la ricapitalizzazione dei principali settori produttivi, l’economia cubana continuerà a muoversi in questo circolo vizioso, che chiaramente danneggia contro l’aumento del potere acquisitivo dei salari, il vero problema che colpisce la popolazione oggi.
I lavoratori più fortunati sono quelli del settore turistico o di altri comparti, che lavorano all’estero e inviano denaro in patria alle loro famiglie. Proprio i visitatori stranieri (2,85 milioni nel 2013) sono una fonte di ricchezza per gli abitanti dell’isola, grazie alle mance in valuta forte, il Cuc (Pesos Convertibili) usato dai turisti, che vale 75 centesimi di euro. Ma non tutti hanno contatti con i turisti, non tutti vivono di furti allo stato, Cuba non è solo Havana o grandi città, c’è tutto il resto dove vive il popolo cubano, senza entrate extra.
E pensare che a Cuba nessuno dice che si stava meglio quando si stava peggio, perché quando si stava peggio, negli anni del Periodo especial (1993-2003), era davvero peggio. Oggi tutti hanno un piatto di gongrì (riso e fagioli) la sera, e un tetto sotto il quale andare a buttarsi, ma soprattutto hanno imparato l’arte di arrangiarsi.
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