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mercoledì 8 ottobre 2014
lunedì 6 ottobre 2014
Cuba: profumi “Ernesto” e “Hugo”, Castro non gradisce
di Luca Pistone. Scritto il 30 settembre 2014 alle 6:00.Il governo di Raúl Castro ha condannato l’atteggiamento “irresponsabile” di un’impresa statale che ha presentato due profumi con i marchi “Ernesto” e “Hugo”, con la pretesa di rendere omaggio al leggendario guerrigliero Ernesto Guevara e all’ex presidente venezuelano Hugo Chávez, e ha promesso di punire i responsabili.
“Per questo grave errore saranno prese le opportune misure disciplinari (…) Iniziative di questa natura non saranno mai accettate dal nostro popolo e dal governo rivoluzionario”, ha fatto sapere il Consiglio dei Ministri attraverso un comunicato pubblicato dal quotidiano Granma.
Nel testo si legge che “i dettagli di questa azione irresponsabile sono stati analizzati a fondo con il gruppo imprenditoriale Labiofam e i funzionari che hanno presentato il prodotto, ancora in fase di sviluppo”.
Inoltre, non è ancora stato chiarito se i familiari del “Che” e di Chávez fossero d’accordo su un tale uso del loro nome, continua Granma.
In conferenza stampa i rappresentanti di Labiofam hanno detto che l’iniziativa mirava a “onorare” la memoria di Ernesto Guevara (1928-1967) e Chávez (1954-2013), ma nel comunicato il Consiglio dei Ministri afferma che “ieri, oggi e sempre i simboli sono sacri”.
Labiofam è il più grande laboratorio di Cuba, responsabile per la ricerca e la produzione di prodotti veterinari, biopesticidi, integratori alimentari, alimenti probiotici e medicine omeopatiche. Alcuni di questi prodotti vengono esportati all’estero.
Documenti rivelano: “Kissinger voleva distruggere Cuba”
Chi
conosce la storia della pluridecennale aggressione statunitense contro
Cuba socialista probabilmente non si stupirà più di tanto, ma i
documenti emersi recentemente sui piani dell’amministrazione di
Washington per ‘distruggere Cuba’ negli anni ’70 chiariscono ancor
meglio la tracotanza della Casa Bianca contro la piccola ‘isla rebelde’ a
poche decine di miglia dai propri confini.
Henry Kissinger, all’epoca Segretario di Stato, nel 1976 ordinò l’elaborazione di un piano urgente per sferrare bombardamenti aerei contro l’Avana in segno di rappresaglia per l’intervento delle forze armate cubane a fianco dei patrioti angolani dell’Mpla che cercavano di difendere la appena conquistata indipendenza dal Portogallo contro gli assalti di due movimenti reazionari – l’Unita e l’Flna – attivamente sostenuti proprio dagli Stati Uniti e dal regime segregazionista sudafricano.
I piani di Kissinger sono stati resi noti al grande pubblico dal ‘New York Times’ che ha avuto accesso ad alcuni documenti governativi custoditi finora nella Biblioteca Presidenziale di Gerald Ford e pubblicati su richiesta del gruppo di ricerca National Security Archive. Spiega il quotidiano che i documenti in questione sono stati pubblicati e raccolti in un libro intitolato 'Black channel to Cuba' curato dagli esperti William M. LeoGrande, docente all’Università Americana, e Peter Kornbluh, direttore dell’archivio del Progetto di Documentazione su Cuba.
Le carte rivelano che Kissinger era letteralmente imbestialito per la decisione di Fidel Castro di sostenere gli indipendentisti angolani mettendosi di traverso rispetto alla strategia di Washington nell’Africa Australe, al punto da predisporre piani per bombardare e invadere l’isola. Il progetto approntato da alcuni generali prevedeva un bombardamento a tappeto dei porti, degli aeroporti e delle installazioni militari cubane, e poi l’invio di alcuni battaglioni di marines tramite la base Usa di Guantanamo allo scopo di ‘distruggere’ Cuba. “Prima o poi dovremo colpire i cubani” avrebbe detto Kissinger al presidente Gerald Ford nel corso di una riunione nella Sala Ovale della Casa Bianca nel febbraio del 1976, almeno stando alle trascrizioni di quanto i due si dissero allora. "Se decidiamo di usare la nostra potenza militare dobbiamo avere successo” disse Kissinger, aggiungendo: "Non ci devono essere mezze misure: non otterremo nessun risultato se usiamo la nostra forza militare con moderazione. Se decidiamo per il blocco militare questo deve essere spietato, rapido ed efficiente” spiegò al Presidente che manifestò il suo consenso, e ai massimi responsabili del Pentagono e della Cia. Tra i quali, secondo il 'New York Times', c’era anche Donald Rumsfeld.
Nel periodo precedente Henry Kissinger, che fu Ministro degli Esteri dal 1973 al 1977, cercò di portare avanti trattative riservate con l’Avana per migliorare, almeno apparentemente, le relazioni tra Stati Uniti e Cuba, e secondo quanto affermano i due estensori del libro che raccoglie i documenti finora riservati l’intervento militare cubano in Angola intralciò i piani della Casa Bianca e del Pentagono a tal punto da convincere il Segretario di Stato della necessità di imporre al presidente Ford una ‘soluzione drastica’ nei confronti di Castro e della Rivoluzione Socialista.
“Kissinger, il giocatore globale di scacchi, si sentì insultato perché un piccolo paese stava rovinando i piani (di Washington, ndr) in Africa ed era quindi disposto a scatenare la forza imperiale degli Stati Uniti contro Fidel Castro” scrive Kornbluh.
Alla fine però i piani di Kissinger contro Cuba vennero accantonati dopo che le elezioni presidenziali del 1976 le vinse Jimmy Carter. Che non era certo un pacifista, ma aveva semplicemente altri piani in altre zone del pianeta. Anche perché lo stesso Kissinger aveva avvertito che i suoi progetti – bombardamenti a tappeto e blocco militare dell’isola – avrebbero potuto scatenare una forte reazione dell’Unione Sovietica e condurre addirittura ad un conflitto diretto con Mosca.
Contattato dal New York Times, Kissinger, che ha 91 anni, ha preferito non commentare, così come Donald Rumsfeld.
Henry Kissinger, all’epoca Segretario di Stato, nel 1976 ordinò l’elaborazione di un piano urgente per sferrare bombardamenti aerei contro l’Avana in segno di rappresaglia per l’intervento delle forze armate cubane a fianco dei patrioti angolani dell’Mpla che cercavano di difendere la appena conquistata indipendenza dal Portogallo contro gli assalti di due movimenti reazionari – l’Unita e l’Flna – attivamente sostenuti proprio dagli Stati Uniti e dal regime segregazionista sudafricano.
I piani di Kissinger sono stati resi noti al grande pubblico dal ‘New York Times’ che ha avuto accesso ad alcuni documenti governativi custoditi finora nella Biblioteca Presidenziale di Gerald Ford e pubblicati su richiesta del gruppo di ricerca National Security Archive. Spiega il quotidiano che i documenti in questione sono stati pubblicati e raccolti in un libro intitolato 'Black channel to Cuba' curato dagli esperti William M. LeoGrande, docente all’Università Americana, e Peter Kornbluh, direttore dell’archivio del Progetto di Documentazione su Cuba.
Le carte rivelano che Kissinger era letteralmente imbestialito per la decisione di Fidel Castro di sostenere gli indipendentisti angolani mettendosi di traverso rispetto alla strategia di Washington nell’Africa Australe, al punto da predisporre piani per bombardare e invadere l’isola. Il progetto approntato da alcuni generali prevedeva un bombardamento a tappeto dei porti, degli aeroporti e delle installazioni militari cubane, e poi l’invio di alcuni battaglioni di marines tramite la base Usa di Guantanamo allo scopo di ‘distruggere’ Cuba. “Prima o poi dovremo colpire i cubani” avrebbe detto Kissinger al presidente Gerald Ford nel corso di una riunione nella Sala Ovale della Casa Bianca nel febbraio del 1976, almeno stando alle trascrizioni di quanto i due si dissero allora. "Se decidiamo di usare la nostra potenza militare dobbiamo avere successo” disse Kissinger, aggiungendo: "Non ci devono essere mezze misure: non otterremo nessun risultato se usiamo la nostra forza militare con moderazione. Se decidiamo per il blocco militare questo deve essere spietato, rapido ed efficiente” spiegò al Presidente che manifestò il suo consenso, e ai massimi responsabili del Pentagono e della Cia. Tra i quali, secondo il 'New York Times', c’era anche Donald Rumsfeld.
Nel periodo precedente Henry Kissinger, che fu Ministro degli Esteri dal 1973 al 1977, cercò di portare avanti trattative riservate con l’Avana per migliorare, almeno apparentemente, le relazioni tra Stati Uniti e Cuba, e secondo quanto affermano i due estensori del libro che raccoglie i documenti finora riservati l’intervento militare cubano in Angola intralciò i piani della Casa Bianca e del Pentagono a tal punto da convincere il Segretario di Stato della necessità di imporre al presidente Ford una ‘soluzione drastica’ nei confronti di Castro e della Rivoluzione Socialista.
“Kissinger, il giocatore globale di scacchi, si sentì insultato perché un piccolo paese stava rovinando i piani (di Washington, ndr) in Africa ed era quindi disposto a scatenare la forza imperiale degli Stati Uniti contro Fidel Castro” scrive Kornbluh.
Alla fine però i piani di Kissinger contro Cuba vennero accantonati dopo che le elezioni presidenziali del 1976 le vinse Jimmy Carter. Che non era certo un pacifista, ma aveva semplicemente altri piani in altre zone del pianeta. Anche perché lo stesso Kissinger aveva avvertito che i suoi progetti – bombardamenti a tappeto e blocco militare dell’isola – avrebbero potuto scatenare una forte reazione dell’Unione Sovietica e condurre addirittura ad un conflitto diretto con Mosca.
Contattato dal New York Times, Kissinger, che ha 91 anni, ha preferito non commentare, così come Donald Rumsfeld.
Cuba: Vivere con 15 euro al mese arrangiandosi
A Cuba il salario medio è di 471 pesos al mese (20 dollari, 14,7 euro). Ben sotto la soglia di povertà che è fissata ad un dollaro al giorno per i paesi dell’area. I medici, la principale fonte di reddito del Paese in valuta estera, possono guadagnare 30-40 euro, ma molte persone vivono con soli 10 euro al mese. Tutto questo succede nonostante la parziale apertura all’economia di mercato voluta tempo fa dal presidente Raul Castro. La maggior parte dei lavoratori è costretta a ingegnarsi per integrare le proprie entrate e sbarcare il lunario. Ma intanto le disuguaglianze stanno crescendo.
Tutti gli abitanti dell’isola hanno diritto alla libreta, un carnet di prodotti alimentari sovvenzionati, in vendita a prezzi calmierati, che però non permettono di sfamarsi per più di dodici giorni. Le merci sono distribuite da un certo numero di aziende del quartiere (uno per il latte e le uova, un altro per le carne, un altro per il pane, uno più grande per il cibo secco e tutto il resto, dal caffè al petrolio o sigarette). Ogni negozio ha un dipendente che scrive il valore dato alla famiglia.
La libreta prevede una distribuzione mensile strettamente razionata dei componenti essenziali dell’alimentazione e della vita quotidiana: riso, pasta, fagioli, olio, zucchero, sale, un po’ di caffè e di dentifricio, sporadicamente altri prodotti come la polpa di pomodoro e il pollo. La razione di “proteine” consiste in un miscuglio di carne macinata e farina di soia, sufficiente per quattro hamburger al mese. L’unica salvezza e fonte affidabile di proteine sono le dieci uova fornite.
Per cercare di sopravvivere non resta che l’arte di arrangiarsi. C’è chi si dedica al furto e chi acquista al mercato nero ciò di cui ha bisogno. Così, appena possibile, si cerca di accaparrarsi un pesce, rubato o pescato clandestinamente, una maglietta o un pacchetto di detersivo. C’è chi si porta sempre appresso un sacco di plastica per cogliere al volo eventuali opportunità che si presentassero. È possibile perfino che ci si veda proporre delle mele che, per misteriosi motivi legati all’agricoltura pianificata, sono assenti dall’Avana da mesi.
Il mercato nero è alimentato anche dal via libera, dato ai cubani l’anno scorso, di uscire e rientrare liberamente sul suolo nazionale. I vestiti indossati dai cubani vengono spesso dagli Stati Uniti. Chi per esempio vola a Miami, può tornare con un bagaglio di 30 chili. La mercanzia è venduta porta a porta e anche sul posto di lavoro.
Il governo cubano riconosce che i salari bassi sono un problema “generale” sull’isola, ma ha sottolineato che i cubani non pagano i servizi di base come la sanità e l’istruzione. Il presidente cubano Raul Castro continua a ripetere che “i problemi relativi ai salari sono il principale ostacolo per l’aumento della produttività e dell’efficienza in molto campi, causando demotivazione, apatia e disinteresse per il lavoro, con conseguenti effetti nella disciplina del lavoro e nell’esodo dei lavoratori qualificati verso attività più remunerative, ma meno esigenti dal punto di vista professionale, producendo senza dubbio un processo di sottocapitalizzazione della forza del lavoro, cosa che ha colpito i rami industriali basilari, il Ministero della Costruzione e altri, come anche le sempre più negate promozioni verso posizioni direzionali”.
Non potendo ottenere investimenti stranieri significativi, come la ricapitalizzazione dei principali settori produttivi, l’economia cubana continuerà a muoversi in questo circolo vizioso, che chiaramente danneggia contro l’aumento del potere acquisitivo dei salari, il vero problema che colpisce la popolazione oggi.
I lavoratori più fortunati sono quelli del settore turistico o di altri comparti, che lavorano all’estero e inviano denaro in patria alle loro famiglie. Proprio i visitatori stranieri (2,85 milioni nel 2013) sono una fonte di ricchezza per gli abitanti dell’isola, grazie alle mance in valuta forte, il Cuc (Pesos Convertibili) usato dai turisti, che vale 75 centesimi di euro. Ma non tutti hanno contatti con i turisti, non tutti vivono di furti allo stato, Cuba non è solo Havana o grandi città, c’è tutto il resto dove vive il popolo cubano, senza entrate extra.
E pensare che a Cuba nessuno dice che si stava meglio quando si stava peggio, perché quando si stava peggio, negli anni del Periodo especial (1993-2003), era davvero peggio. Oggi tutti hanno un piatto di gongrì (riso e fagioli) la sera, e un tetto sotto il quale andare a buttarsi, ma soprattutto hanno imparato l’arte di arrangiarsi.
venerdì 5 settembre 2014
Cuba, l'annuncio di Manconi Giulio Brusadelli è libero
5 settembre 2014
L'uomo era stato condannato lo scorso 3 marzo a 4 anni di carcere dopo essere stato arrestato per "traffico di stupefacenti" imputabile per il possesso di 3.5 grammi di cannabis. Aveva iniziato a scontare la sua pena nello stesso mese, nel carcere di Aguadores, dove è rimasto fino alla sentenza. Brusadelli soffre da quasi vent'anni di una grave sindrome maniaco-depressiva: l’esperienza del carcere lo ha debilitato fisicamente e psicologicamente, al punto da farlo trasferire presso il reparto psichiatrico dell’ospedale "Juan Bruno Zayas", dove è tuttora ricoverato.
La famiglia ha scritto una lettera al Senatore Luigi Manconi, noto per le sue attività di tutela su argomenti come la giustizia, il garantismo,e le libertà individuali, il quale ha risposto definendolo un "caso umanitario che sta meritando la massima attenzione delle autorità italiane".
A favore della sua scarcerazione era stata lanciata una petizione diffusa su tutti i social network.
Cuba, ritorna la tragedia dei balseros, i migranti che fuggono in barche improvvisate
Malgrado la relativa apertura grazie alle riforme economiche di Raul
Castro, sono ancora molti i cubani che cercano di fuggire dall'isola a
bordo di barche improvvisate.
Negli ultimi giorni due gruppi di «balseros» sono riusciti a raggiungere il Messico e gli Stati Uniti, ma le loro avventure hanno avuto epiloghi differenti. Il primo gruppo - composto da sei cubani, tutti uomini fra i 28 e i 65 anni - è sbarcato sulle coste del Texas, quasi alla frontiera con il Messico, dopo essere partito dalla Isla de la Juventud ed essere rimasto quasi 20 giorni alla deriva perchè il motore della loro imbarcazione si era rotto dopo soli due giorni di navigazione.
Il secondo gruppo - 10 uomini e 7 donne - è invece stato salvato dalla guardia costiera messicana a circa 250 km da Progreso, nella penisola dello Yucatan. Hanno raccontato anche loro di essere rimasti alla deriva per più di due settimane - la loro barca non aveva nemmeno un motore - e due degli uomini del gruppo sono morti prima di sbarcare in territorio messicano, stremati dalla fatica e dalla disidratazione. Ma qui finisce il parallelo fra le due storie, perchè i «balseros» arrivati in Texas potranno chiedere asilo negli Usa, in base alla cosiddetta legge «piedi bagnati, piedi asciutti» (se vengono intercettati in mare sono restituiti a Cuba, se invece riescono a raggiungere la terra ferma potranno rimanervi), mentre quelli arrivati in Messico saranno riconsegnati alle autorità dell'Avana entro la fine della settimana.
Dall'inizio della Rivoluzione castrista, nel 1959, oltre un milione di cubani, l'equivalente di poco più del 10% della popolazione dell'isola, sono emigrati dal loro Paese natale, in maggior parte verso gli Usa.
Negli ultimi giorni due gruppi di «balseros» sono riusciti a raggiungere il Messico e gli Stati Uniti, ma le loro avventure hanno avuto epiloghi differenti. Il primo gruppo - composto da sei cubani, tutti uomini fra i 28 e i 65 anni - è sbarcato sulle coste del Texas, quasi alla frontiera con il Messico, dopo essere partito dalla Isla de la Juventud ed essere rimasto quasi 20 giorni alla deriva perchè il motore della loro imbarcazione si era rotto dopo soli due giorni di navigazione.
Il secondo gruppo - 10 uomini e 7 donne - è invece stato salvato dalla guardia costiera messicana a circa 250 km da Progreso, nella penisola dello Yucatan. Hanno raccontato anche loro di essere rimasti alla deriva per più di due settimane - la loro barca non aveva nemmeno un motore - e due degli uomini del gruppo sono morti prima di sbarcare in territorio messicano, stremati dalla fatica e dalla disidratazione. Ma qui finisce il parallelo fra le due storie, perchè i «balseros» arrivati in Texas potranno chiedere asilo negli Usa, in base alla cosiddetta legge «piedi bagnati, piedi asciutti» (se vengono intercettati in mare sono restituiti a Cuba, se invece riescono a raggiungere la terra ferma potranno rimanervi), mentre quelli arrivati in Messico saranno riconsegnati alle autorità dell'Avana entro la fine della settimana.
Dall'inizio della Rivoluzione castrista, nel 1959, oltre un milione di cubani, l'equivalente di poco più del 10% della popolazione dell'isola, sono emigrati dal loro Paese natale, in maggior parte verso gli Usa.
giovedì 4 settembre 2014
Cantet alle prese con le disillusioni della Cuba di oggi
Con una nutritissima selezione di film francesi in concorso (ben quattro), Laurent Cantet, Palma d'oro a Cannes nel 2008 con La classe, ha trovato posto al Lido fuori dalla selezione ufficiale, alle Giornate degli Autori, con il suo nuovo film, Retour à Ithaque (in italiano, più prosaicamente, Ritorno a L'Avana). Il suo film però non è privo di motivi di interesse, a cominciare dal tema poco inconsueto e inaspettato. In trasferta a Cuba, il regista ha lavorato in collaborazione con lo scrittore Leonardo Padura, utilizzando vari suoi spunti per raccontare una generazione di cinquantenni illusi e oppressi dal regime.
Molti riferimenti forse sfuggiranno allo spettatore italiano, anche se il percorso di disillusione e di crescita tra le maglie della dittatura, leggendo di nascosto Orwell o Cabrera Infante, è comunque chiaro. Verrà colta una somiglianza specifica: quella con uno dei più bei film di Ettore Scola, La terrazza.
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